lunedì 2 dicembre 2019

IL ROSSESE DI DOLCEACQUA

Con la degustazione dello scorso 29 novembre presso Villa Barattieri si è chiuso l’anno per quanto riguarda le nostre degustazioni con Slow Food Piacenza. Un viaggio che ripartirà il prossimo 24 gennaio con una serata dedicata a Montalcino. 
Da quando io e Luca abbiamo iniziato a raccontare i “vini con le ali”, Rossese e, ancora meglio, Dolceacqua sono due parole emerse spesso nei nostri discorsi. Era dunque inevitabile che prima o poi finissimo per affrontare il tema attraverso una degustazione. Il Dolceacqua è uno dei vini con le ali per antonomasia, un vino con tratti che ricordano altri vitigni ed altri territori (Pinot Nero di Borgogna, Schiava dell’Alto Adige, per esempio), ma con un carattere assolutamente unico e inimitabile, frutto di una situazione pedo-climatica particolarissima.



La zona di produzione, infatti, si colloca nell’entroterra dell’ultimo lembo occidentale del Ponente ligure, stretta tra il mare a sud e le Alpi a nord, in due valli parallele (Val Verbone e Val Nervia) che contribuiscono a creare quelle qualità organolettiche a metà tra il calore mediterraneo e lo slancio nordico. 
Area viticola difficile e impervia, geograficamente limitata (meno di cento ettari in produzione), che nel corso degli ultimi decenni si è quasi estinta, ora per fortuna, grazie a un gruppo compatto di vignaioli consapevoli e tenaci, sta pian piano risorgendo. 
Di seguito il nostro report sulla serata. 
I sette vini sono stati divisi in due batterie. 


BATTERIA N° 1 
Inizio con una mini-verticale del Beragna di Ka Mancinè (le ultime due annate imbottigliate), in assoluto il cru dai caratteri più alpini. 

Beragna 2018 e 2017 - Ka’ Mancinè 
Kà Mancinè è una piccola realtà di soli tre ettari e 20.000 bottiglie totali gestita da Maurizio Anfosso, che dal 2006 vinifica in purezza le uve ricavate dai cru Beragna e Galeae, in comune di Soldano. Il Beragna di fatto è un monopole di Ka’ Manciné, poco più di un ettaro da esposizione fresca (nord est) in grado di generare vini tra i più fini e sottili dell’intero comprensorio. Gran parte del vigneto è centenario con vigne ad alberello che affondano le radici su terreni calcareo-marnosi a un’altitudine tra i 250 e i 330 metri s.l.m. Vinificazione e affinamento in acciaio inox con macerazioni di 7-8 giorni, senza raspi. 


Il 2018 - 12.000 bt. - amplifica l’annata fredda e sottolinea le caratteristiche nordiche del vigneto. Colore rubino scarico e trasparente, luminosissimo, naso aggraziato giocato su toni di piccoli frutti rossi selvatici (fragoline di bosco, ribes rosso) e note agrumate, poi ancora leggere scie speziate di coriandolo e pepe bianco. La bocca è affusolata ma tesa, lineare, agrumata e salata, con tannino finissimo che lo fa sembrare quasi un bianco travestito da rosso. 


La versione 2017 - 9.000 bt - nasce, al contrario, da un’annata calda e di conseguenza il vino vive di maggior peso e polpa. Il colore è un rubino dai toni leggermente più carichi, il naso vira su profumi intensi di frutti maturi, note marine, ematiche e un tocco di pepe bianco appena più pungente rispetto al 2018. La bocca, pur restando sul lato dell’eleganza, è leggermente più piena, ma senza perdere nulla in quanto a freschezza, finezza tannica e tensione salata. 

Luvaira 2016 - Tenuta Anfosso
Alessandro Anfosso e la moglie Marisa Perotti dal 2002 guidano l’azienda composta da sei ettari divisi tra tre splendide vigne (Poggio Pini, Luvaira e Fulavin) per un totale di 25.000 bottiglie. Prima di loro gli appezzamenti, in particolare Poggio Pini, erano lavorati da Luciano, padre di Alessandro, e ancor prima da Giacomo - il capostipite degli Anfosso - che alla fine dell’800 aveva impiantato le vigne, ancora oggi parzialmente esistenti, le cui uve confluiscono nell’omonima etichetta. 


Il Luvaira è sito nel comune di San Biagio della Cima e proviene dalla parte sommitale della collina con esposizione sud est-sud ovest su terreni scistosi argillo-calcarei. Tenuta Anfosso produce questa vigna in purezza dal 2008 con le uve della parte più vecchia, datata 1905; circa il 50% dei grappoli non viene diraspato, mentre la fermentazione in acciaio dura dai 12 ai 15 giorni a temperatura controllata (26-28 °C). L’affinamento in acciaio si protrae per un anno. 
Della versione 2016, che ha beneficiato di un clima caldo, ma non torrido, sono state prodotte solo 1332 bottiglie. 


Nel bicchiere la veste è di un rosso rubino luminoso di discreta intensità con lievi sfumature aranciate. Il naso è complesso, ampio e generoso: apre su note di frutti di bosco maturi (fragoline e ribes nero) e con l’ossigenazione si apre a toni di macchia mediterranea e spezie (pepe rosa) per spostarsi su richiami terrosi. La bocca è piena e succosa, sostenuta da un allungo vigorosamente salino con tannini eleganti e un finale saporito. 

BATTERIA N°2 
Quattro vini a partire dall’annata più anziana del lotto, un 2013 di rarefazioni quasi borgognone che avrebbe patito una posizione più avanzata nella sequenza. 

Bricco Arcagna 2013 e 2017 - Terrebianche
Terrebianche rappresenta un simbolo per il territorio di Dolceacqua, non solo per i vini, ma anche per la meticolosità e la precisione che Filippo Rondelli pone nel raccontare il territorio, che ha contribuito a rivitalizzare anche grazie al complesso lavoro condotto insieme ad Alessandro Giacobbe per riportare alla luce le “Nomeranze” (i cru, in pratica) storiche del Rossese, oltre che per dar vita nel 2009 all’associazione “Vigne Storiche”. 


L’Azienda nasce a fine ’800 grazie a Tommaso Rondelli, ma guadagna importanza e dimensioni tra il 1980 e il 1998 grazie al lavoro di Claudio Rondelli (padre di Filippo), Paolo Rondelli (lo zio) e Franco Laconi (socio dei due prima e di Filippo oggi). Nel 1998 Claudio Rondelli scompare prematuramente e Filippo, ventenne studente universitario, si trova catapultato in azienda. 
Le due annate degustate hanno avuto andamenti climatici molto diversi: complicata, fresca e tardiva la 2013, molto calda la 2017. Il Bricco Arcagna è la parte sommitale della collina (circa 450 metri s.l.m.) e poggia su suoli di arenaria. La vinificazione avviene in acciaio, poi il vino passa in botti da 225 e 500 litri dove svolge la fermentazione malolattica e l’affinamento fino all’agosto successivo alla vendemmia, per andare in bottiglia dove sosta fino a marzo del secondo anno post vendemmia. 


Bricco Arcagna 2013 esordisce con una veste granata dai lievi riflessi aranciati. Il naso apre subito con grande finezza evolutiva: lieve caramello, legno di cedro, marasca, macchia mediterranea e spezie si fondono con una viva componente balsamica, agrumata (arancia rossa) e terrosa. Il palato è elegante e saporito, con tannini levigati che portano a un finale profondo e appagante. Vino setoso tutto giocato sul registro dell’eleganza che ci sembra appena entrato nella fase di apice espressivo, colto dunque in un momento ottimale di assaggio. 


Bricco Arcagna 2017 è stato prodotto in soli 3.000 esemplari ed oggi appare ancora un po’ compresso per troppa gioventù, ma ci sembra anche nascondere grandi potenzialità. Bel colore rubino scarico molto luminoso, cui segue un naso dagli eleganti toni boisè, floreali, di frutti rossi e spezie, poi ancora agrumati con un tocco ematico-ferroso. La bocca ha volume e succosità, scalpita e chiude profonda e minerale, animata da tanto vigore sapido. 

Posaù Biamonti 2017 - Maccario Dringenberg
Giovanna Maccario e il marito Goetz Dringenberg sono a capo di una cantina storica nata a fine ‘800 a San Biagio della Cima, in Val Verbone. L’azienda è gestita da Giovanna dal 1991, anno della scomparsa del padre Mario. Oggi Giovanna lavora 4.5 ettari per una produzione di circa 25.000 bottiglie annue disponendo di vecchi ceppi in cru dall’indiscusso valore: Posaù, Luvaira, Curli e Brae. 
Dal Posaù Giovanna Maccaria produce due vini: il Posaù dalle vigne più giovani nella parte medio-bassa del vigneto e il Posaù Biamonti dalle vigne centenarie (meno di mezzo ettaro) posizionate sulla parte sommitale della collina (350 metri s.l.m.) su terreni ricchi di scheletro, costituiti in prevalenza da roccia calcarea, arenacea con numerosi affioramenti di cristalli e calciti. L’esposizione sud est e la vicinanza al mare rendono questo cru uno dei più caldi dell’intero comprensorio. Il nome Biamonti unito al nome del vigneto è un omaggio – nato con l’annata 2014 - a Francesco Biamonti, scrittore e poeta di San Biagio della Cima. 
La vinificazione avviene in acciaio a temperatura controllata intorno ai 27°C, due settimane di macerazione sulle bucce, malolattica e affinamento sempre in acciaio. Nel 2017 sono state prodotte circa 1.700 bottiglie. Il colore è rubino intenso con sfumature granata; il naso apre su note di frutti scuri, agrumi e spezie. La bocca è potente e ricca, ma anche vibrante e propulsiva, con tannini compatti che regalano un finale sicuro. 

Testalonga 2016 - Nino e Erica Perrino 
Quando parliamo di questa minuscola realtà (2.5 ettari per 6.000 bottiglie prodotte), parliamo della memoria storica di Dolceacqua, incarnata in particolare da Nino Perrino, che ha iniziato il suo percorso nel 1961 affiancando i genitori. Dopo la morte di Mandino Cane, sul quale Mario Soldati aveva impostato la visita a Dolceacqua per il suo imprescindibile Vino al Vino, Perrino, affiancato dalla nipote Erica a partire dal 2015, oggi è il principale testimone vivente dell’epoca eroica per il Rossese di Dolceacqua, quella che ha anticipato l’attuale fase di rinascita. 
Erica ha aderito al modello dello zio e oggi entrambi rappresentano il legame con la tradizione, lo spirito genuino di una viticoltura d’altri tempi. La cantina è tuttora nascosta tra i carrugi di Dolceacqua, dove zio e nipote producono letteralmente vins de garage. Nel piccolo locale trovano spazio solo otto botti, cinque per il Dolceacqua e tre per il Vermentino. 


I Perrino vinificano il Rossese da due Nomeranze storiche: Arcagna e Casiglian. Fino al 2007 veniva utilizzata anche la vigna Pozzuolo, abbandonata per le difficoltà di accesso alla vigna. 
La pigiatura qui si fa con i piedi e con l’uso dei raspi. Le macerazioni durano 15-20 giorni e il vino affina in botti usate da 500 litri per un anno. 
Il Testalonga 2016, prodotto in circa 4.000 esemplari, esordisce con un colore granata dai riflessi rubino, leggermente meno luminoso dei vini precedenti. Il naso è ricco di frutto (amarena in particolare) unito a toni più austeri di rabarbaro e a sfumature fumé. Con l’ossigenazione escono note terrose e una piacevole speziatura pepata. La bocca è piena, densa, ma dinamica, il tannino si fa sentire senza disturbare e conduce a un finale molto saporito.