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giovedì 23 aprile 2020

SHEILA PAS DOSÉ 2006 – PODERE PAVOLINI

Torniamo nei colli piacentini, ma stavolta ci spostiamo nella estremità orientale della Val d’Arda, ai Paolini di Bacedasco Alto (comune di Vernasca), zona con suoli di origine pliocenica ricchi di fossili, costituiti da marne e argille sabbiose grigio-azzurre. Il regno del Piacenziano, insomma, anche se con intrusioni geologiche che ci ricordano quanto siano variabili, anche nell’arco di pochi metri, i suoli di questa provincia. 
Podere Pavolini è un’azienda storica di proprietà della famiglia Terzoni, oggi condotta da Graziano Terzoni che ormai da anni è succeduto al papà Luigi. I vigneti si estendono su una superficie collinare di cinque ettari con pendenze talvolta importanti e altitudini comprese tra 200 e 250 metri slm. Le vigne da alcuni anni sono condotte in regime Biologico certificato e principalmente vedono la presenza delle varietà malvasia, ortrugo e croatina. 


Da queste parti fino agli anni ’60-’70 del secolo scorso quasi tutto il vino era frizzante a rifermentazione in bottiglia, col fondo, e a un certo punto Graziano, da sempre con la passione per lo Champagne, prova a fare un piccolo-grande salto concettuale: continuare a produrre bollicine rifermentate in bottiglia a partire da uve locali, ma con il Metodo Classico. Dopo tante vendemmie e ancor più sperimentazioni, il 2006 è l’anno della svolta, quello in cui inizia a convogliare la maggior parte delle proprie energie nella produzione di questa tipologia, che lui vuole elegante e beverina come una bibita. Oggi Podere Pavolini produce circa 30.000 bottiglie all’anno, due terzi delle quali di Metodo Classico. 

Foto presa dal sito internet aziendale

Sheila Pas Dosè 2006 – Podere Pavolini 
Una bottiglia sorprendente, frutto di un mix tra ortrugo (90%) e marsanne (10%), una varietà, quest’ultima, che qui viene tradizionalmente chiamata “champagne” o “champagnino”. 
Uva raccolta a uno stadio di maturazione leggermente anticipato (circa 12 % potenziale alcol), pressatura a grappolo intero per mantenere basso il pH. Tiraggio nella primavera successiva alla vendemmia svolta con tre barriques dello stesso mosto filtrato (così da non innalzare la percentuale alcolica). 
Della produzione iniziale di 5.000 bottiglie, buona parte è stata commercializzata a partire dal 2009 e presto esaurita, ma 360 bottiglie sono state conservate sui lieviti fino a novembre 2019, data della nuova sboccatura di cui vi stiamo parlando. 


Dopo circa 150 mesi sui lieviti il vino si presenta con un colore paglierino vivo e brillante e un perlage dalla grana molto fine, lenta e persistente. 
Chi si aspetta l’avvolgenza burrosa o la dolcezza del frutto e del pan brioche potrebbe non apprezzare, ma i profumi (cangianti e complessi) spaziano dai toni leggermente balsamici delle erbe aromatiche essiccate (che richiamano sensazioni quasi da Vermouth) a note di agrumi canditi arricchite da rimandi iodati e fumè e da toni di miele e nocciola tostata. 
La bocca ha un ingresso compatto e si sviluppa pimpante e sottile, molto dinamica, ravvivata da un’acidità viva ma non aspra, anzi, setosa. Il finale ha sprint e armonia, chiude con bella scioltezza agrumata confermando una sensazione generale di appagante bevibilità.

martedì 24 marzo 2020

MACCHIONA 1995 - LA STOPPA

La Macchiona de La Stoppa è sicuramente tra le poche bottiglie iconiche dei Colli Piacentini. Viene prodotta dal 1973 (anno in cui la famiglia Pantaleoni ha acquistato l’azienda, un tempo di proprietà dell’avvocato genovese Ageno) in comune di Rivergaro al confine con Vigolzone, nel cuore delle Terre Rosse Antiche a 200-250 metri slm e ancora oggi, sotto la guida di Elena Pantaleoni e Giulio Armani, è tra i portabandiera dell’azienda. 


Il vino prende nome da una casa colonica posta in mezzo alle vigne, ma in genere le uve provengono sempre da almeno un paio di vigneti. In generale il concetto di Cru alla Stoppa è da intendersi più in senso bordolese che borgognone, quindi ogni anno vengono scelte da diverse vigne presenti nei trenta ettari aziendali i grappoli più adatti a produrre le “riserve”. I suoli sono simili in tutta l’area, argilloso-limosi, poveri, rossastri per la presenza di ossido di ferro e poco o per niente calcarei, quindi a fare la differenza sono spesso le porzioni dei filari (parte alta o bassa dei versanti, a maggiore o minore presenza di argilla, per esempio). 


La Macchiona non è mai stato un vino DOC, ma di fatto è una specie di Gutturnio sotto mentite spoglie. È stato tra i primissimi esempi di ciò che era ed è possibile fare in quest’area con le uve barbera e croatina. Vini profondi e molto longevi, austeri e da aspettare a lungo. Nulla di più diverso dallo stereotipo che vedeva (e vede) i colli piacentini come zona esclusivamente da vini frizzanti. 


Macchiona 1995 – La Stoppa 
Miscela paritaria di barbera e croatina che, dopo una lunga macerazione sulle bucce, affina in botti grandi. 
A distanza di 25 anni dalla vendemmia si presenta con un colore granato vivo e luminoso dai riflessi aranciati appena accennati. L’impatto olfattivo è registrato su un carattere di articolata complessità terziaria: note di sottobosco e tabacco si fondono con tratti ematici che, con l’ossigenazione, lasciano spazio a toni di prugna secca, grafite, spezie, arancia, amarena e caffè. 
Il palato è austero, di una bellezza verticale quasi aspra come quella di certi Boca degli anni ’90, senza il medesimo senso di rarefazione nordica, con polpa più ricca e un tipo di austerità più calda. Il volume non manca, ma la struttura si sviluppa con verace tonicità acido-tannica. Finale slanciato e nervoso, per una bottiglia che ha ancora vita davanti a sé.