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domenica 2 febbraio 2020

MONTALCINO

Primo appuntamento dell’anno per il ciclo realizzato insieme a Slow Food Piacenza. Stavolta si fa tappa in Val Nure presso l’Agriturismo La Tosa di Vigolzone per una serata dedicata a Montalcino e ai suoi Sangiovese, territorio tra i più noti al mondo, sede di uno tra i vini che rappresentano l’emblema stesso del grande rosso da invecchiamento: il Brunello. 
Non solo Brunello durante la serata. Per scaldare i partecipanti abbiamo proposto due tra i Rosso di Montalcino a nostro avviso più interessanti in circolazione, de L’Aietta e Baricci, entrambi frutto di una eccellente annata come la 2016. 
Con la seconda mini-batteria, Fattoi e Il Marroneto, si entra nel mondo del Brunello e con la terza si viaggia nel tempo confrontando due vecchie (e differenti) annate di uno storico modernista di rango (Siro Pacenti) con LA storia del Brunello, il suo rivoluzionario inventore oggi divenuto alfiere dell’ortodossia tradizionalista: Biondi Santi. 
Ecco il racconto dei vini. 


BATTERIA N.1 

Rosso di Montalcino 2016 – L’Aietta 
Spendiamo qualche parola in più per l’azienda meno nota tra quelle di stasera: L’Aietta, la più piccola realtà del territorio ilcinese con una superficie vitata di un solo ettaro e una produzione che non arriva a 5.000 bottiglie. L’azienda è nata nel 2001 per mano di Francesco Mulinari, all’epoca solo diciassettenne. All’inizio è quasi un hobby che porta al recupero di un paio di filari (0.1 ettari) presenti in un appezzamento di famiglia denominato “L’Aietta” (piccola aia dove si svolgevano feste paesane, oggi parte del vigneto) sul lato ovest del paese, sotto le mura di Montalcino con esposizione sud ovest a un’altitudine di 350- 480 metri slm.


Dopo le prime 720 bottiglie della vendemmia 2001, già dall’annata successiva Francesco diventa viticoltore a tutti gli effetti impegnandosi a tempo pieno nell’attività e acquisendo 0.5 ettari nei pressi di Castelnuovo dell’Abate - 350 metri slm, esposizione sud est - nella parte sud del comprensorio su suoli di galestro puro. Nel 2004 continua l’opera di espansione del parco vitato con il recupero di altri 0.4 ettari nella vigna dell’Aietta, ristrutturando gli antichi muretti a secco e predisponendo nuovi impianti ad alberello con un 20% di vecchie viti a piede franco che poggiano su terreni sabbiosi, generati dallo sfaldamento di arenarie ricche di minerali. 
Da tre anni la vigna dell’Aietta viene lavorata senza l’uso di macchine, solo a mano e con il cavallo. 
Le uve per il Rosso di Montalcino provengono dal mix delle due vigne di proprietà, le cui percentuali d’impiego possono variare a seconda dell’annata. Fermentazione con lieviti indigeni e macerazione sulle bucce di una ventina di giorni, mentre l’affinamento si svolge in botti di rovere di Slavonia da 10 Hl per 12 mesi circa. 2.000 le bottiglie prodotte. 


La versione 2016 si veste di un colore rubino intenso di bella luminosità. Il naso apre su note organiche ematico/ferrose, poi terrose e di cuoio, per virare su note più gentili che spaziano dai piccoli frutti rossi ai fiori appassiti e alle erbe secche, dal pepe verde ad accenni balsamici, per chiudere su toni di arancia rossa. Il sorso attacca polposo ma si fa subito tonico e nervoso; bella freschezza acida con trama tannica serrata e arrembante che richiama cibo. Un vino ancora compresso e di esuberanza giovanile, coinvolgente e dalla spiccata personalità. 

Rosso di Montalcino 2016 - Baricci 
Baricci è una realtà storica fondata nel 1955 da Nello Baricci, figura chiave per la zona del Brunello e uno dei 25 soci fondatori del Consorzio nato nel 1967. Ex mezzadro, acquista il Podere Colombaio, versante nord di Montalcino, in una delle zone più significative dell’intera denominazione, la collina di Montosoli, vero e proprio cru, riconosciuto per il suo pregio da almeno cinque secoli. Oggi a guidare l’azienda sono i nipoti di Nello, Federico e Francesco Buffi, che producono circa 30.000 bottiglie all’anno tra Rosso, Brunello e Brunello Riserva. 
Tutte le vigne aziendali, sei appezzamenti accorpati, si sviluppano su 5.5 ettari nella collina di Montosoli. L’altitudine dei vigneti si attesta sui 280 metri slm con esposizione sud est su terreni molto sassosi, drenanti composti da un mix di marne, scisti quarzosi e galestro. Una zona fresca e molto ventilata, in grado di generare vini eleganti e nordici. 
Il Rosso 2016 fermenta con lieviti indigeni e svolge una macerazione sulle bucce che si protrae per due settimane abbondanti. Il vino poi sosta in botti da 20 Hl per circa 8 mesi e affina altri 4 mesi in bottiglia prima di essere commercializzato. 15.000 bottiglie prodotte. 
Nel bicchiere si presenta di un bel rubino luminoso e intenso con lievi riflessi aranciati. Il naso regala un’aromaticità intensa, ma con tratti gentili e armoniosi giocati su toni di amarena, prugna, frutti rossi maturi e sfondo di lieve vaniglia. La bocca è di grande finezza: ingresso pieno e morbido con sviluppo gustativo fresco, saporito e profondo; trama tannica decisa, ma elegante e succosa. Un piccolo Brunello. 


Con la seconda batteria arrivano i Brunello, per primi Fattoi e il Marroneto. 

BATTERIA N.2

Brunello di Montalcino Riserva 2012 - Fattoi
La cantina Fattoi nasce a metà anni ‘60 per mano di Ofelio Fattoi, ex mezzadro di Castello Banfi, che acquista il Podere Capanna nella parte sud ovest della denominazione, a poche centinaia di metri dalla Pieve Santa Restituta (nei pressi della frazione Tavernelle). Le prime vigne vengono piantate tra il 1970 e il 1974. Il podere oggi è gestito da ben tre generazioni di Fattoi, Ofelio con i figli Lamberto e Leonardo e la nipote Lucia, e si distribuisce su 70 ettari tra boschi, vigne (11 ettari, di cui 7 a Brunello), ulivi e seminativo. I vigneti hanno un’età media di 25 anni e producono circa 60.000 bottiglie annue. Le vigne sono esposte a sud ovest a un’altitudine media di 330 metri slm e poggiano su terreni tufacei e galestrosi, poco argillosi, che non temono la siccità. L’area è calda, ma molto ventilata e sente l’influenza della brezza marina proveniente dalla Maremma. 
La Riserva viene prodotta solo quando il millesimo è realmente meritevole e in un numero limitato di bottiglie (3.500 circa). Solitamente si utilizzano le uve della vigna più vecchia, piantata nel ‘74 (meno di 1 ettaro). Le fermentazioni alcolica (svolta con lieviti indigeni) e malolattica avvengono in acciaio, poi il vino matura in botti di rovere francese da 45 Hl e da 10 Hl per circa 3 anni; il restante affinamento si svolge in bottiglia per almeno tre anni prima della commercializzazione. 
Alla vista questo 2012 è luminoso e intenso. Il naso è ampio, ricco e sfaccettato, in bilico tra frutto, spezie e mineralità con richiami di frutti rossi maturi, spezie dolci, tabacco, vaniglia ed erbe aromatiche e una progressione olfattiva che prosegue su accordi balsamici e note di polvere da sparo e grafite. La bocca è ricca e avvolgente, ma al tempo stesso fresca e dinamica, con tannino elegante. Lo sviluppo è succoso e agrumato con finale profondo, armonico e molto lungo.


Brunello di Montalcino 2009 - Il Marroneto
Il Marroneto è situato nella parte nord di Montalcino, accanto alla chiesetta della Madonna delle Grazie, ed è stato acquistato nel 1974 da Giuseppe Mori, padre dell’attuale proprietario Alessandro. Si tratta di un antico casale (della prima metà del ‘200) in cui venivano fatte essiccare le castagne, da qui il nome Marroneto. I primi impianti risalgono al 1975 e la prima vendemmia è del 1980. 
Oggi Il Marroneto conta su poco più di sei ettari vitati per una produzione di circa 30.000 bottiglie annue suddivise tra: Rosso, Brunello e la selezione “Madonna delle Grazie”. Le vigne si sviluppano a ridosso del podere a un’altitudine tra i 350 e i 400 metri slm su suoli sabbiosi di origine marina ricchi di fossili e minerali. 
Per il Brunello la fermentazione avviene in acciaio con lieviti indigeni e macerazione di 11-12 giorni. Il vino matura in botti di rovere da 25 Hl per 39 mesi e affina quasi due anni in bottiglia prima di uscire sul mercato. L’annata 2009, nel complesso calda e valutata con 4 stelle dal Consorzio, ha dato risultati altalenanti nel comprensorio.
Il vino esordisce con un colore granato intenso, il naso è cupo e austero, contratto e introverso: apre su toni terziari di cuoio e sottobosco virando poi su scie calde ed evolute di tamarindo e visciola con leggeri toni balsamici, non evolvendo più di tanto nel bicchiere. La bocca è piena e potente, con tannino deciso e ruvido, quasi sgraziato e scisso dalla struttura. 


BATTERIA N. 3 – GLI OPPOSTI 

Brunello di Montalcino 1995 - Biondi Santi
La storia della Montalcino moderna inizia con Clemente Santi, il primo, nel 1865, a produrre in loco un sangiovese in purezza affinato quattro anni in botte. Venti anni dopo il nipote Ferruccio Biondi Santi eredita Il Greppo e, tre anni dopo, produrrà la mitica Riserva 1888 che, insieme alla 1891, ha fatto nascere il mito della longevità del Brunello. Ferruccio è stato il primo, nel 1927, ad avviare la pratica della ricolmatura delle Riserve, perpetuata nel corso dei decenni da chi ha ereditato l’azienda (da ultimo Franco, scomparso nel 2013), all’insegna di un modus operandi tradizionale seguito anche in cantina, con un approccio da sempre poco interventista. Dopo la cessione al gruppo francese EPI, avvenuta nel 2016 con Jacopo Biondi Santi, la cose prima o poi potrebbero cambiare, ma per ora godiamoci le vecchie bottiglie di Brunello Annata e Riserva ancora disponibili. Da poche settimane è stato definito un ampliamento delle proprietà aziendali nella sottozona San Polo, sei ettari che andranno in parte a sostituire quattro ettari destinati all'estirpo causa mal dell'esca e ad aumentare la produzione da 80.000 a 110.000 bottiglie.
Il Brunello Annata, dopo fermentazione in cemento e tini di legno con lieviti indigeni, passa in botti grandi di varie capacità nella primavera successiva alla vendemmia e vi resta per circa tre anni e mezzo. Il Brunello Biondi Santi si distingue sempre per il tipico profilo sottile ed elegante: un Sangiovese nordico nel cuore di Montalcino.
Il 1995 oggi mostra un colore rubino scarico con leggere sfumature aranciate. Il naso, nitido, preciso e persino sommesso rispetto al compagno di batteria, si esprime su toni di ciliegia matura e confettura di fragola, petali di fiori secchi e arancia rossa, con richiami terziari di caramella mou, sottobosco, liquirizia e tartufo. Il lato gustativo è giocato sulla finezza e la persistenza; la struttura ruota attorno a un tannino setoso e a un’acidità scattante, che rendono il sorso profondo con finale agrumato e salino. 


Brunello di Montalcino 1999 - Siro Pacenti
Siro Pacenti nel 1970 acquista la proprietà Pelagrilli nel settore nord est di Montalcino, ai piedi della collina su cui sorge il paese, su suoli calcarei argillo-sabbiosi. Il 1988 è l’anno in cui entra in azienda il figlio Giancarlo e in cui vengono prodotti per la prima volta un Rosso e un Brunello. Quasi subito Giancarlo dà una svolta all’impostazione aziendale iniziando, per esempio, ad impiegare le barriques per gli affinamenti. 
All’inizio degli anni ’90 vengono accorpati all’azienda cinque ettari di fine anni ‘60 in località Piancornello (a sud di Montalcino, in un microclima più caldo e con suoli ciottolosi di origine fluviale) arrivando ai 22 ettari complessivi attuali. 
Per il Brunello 1999 l'uva proviene in buona parte dalle vigne di almeno 25 anni della sottozona Pelagrilli, con percentuale minoritaria in arrivo da Piancornello. Fermentazione in acciaio inox a temperatura controllata con conseguente affinamento di due anni in barriques. 
La quintessenza dell’estratto (deciso, ma non eccessivo) e della potenza sotto controllo, figlie di una filosofia aziendale, ma anche di un’annata dal taglio caldo come la '99.
Il colore è un granato intenso e luminoso. Notevole e penetrante l’impatto aromatico. Il naso si esprime su note di marasca, sottobosco e liquirizia unite a richiami di spezie dolci e minerali di grafite, il tutto avvolto da un importante corredo balsamico, quasi mentolato. La bocca è densa e voluminosa, compatta, ben supportata da un tannino granitico e da una vibrante acidità. Un vino potente, carnoso e dinamico.

giovedì 16 maggio 2019

RIESLING: ITALIA-GERMANIA

Torniamo a parlare di Riesling (qui il racconto della precedente serata) grazie alla nuova degustazione  del ciclo realizzato con Slow Food Piacenza (ciclo quasi giunto al termine, in giugno l’ultimo appuntamento dedicato ai Fiano campani). 
Un confronto ridotto alle sole Italia e Germania: sei vini di altrettanti territori, tre contro tre. Anzi sette, compreso un intruso tedesco inizialmente non previsto. 
Ospiti a La Tosa di Vigolzone, patria della Malvasia di Candia aromatica, abbiamo sondato il lato “secco”, o trocken, della faccenda, pressoché d’obbligo quando si parla di Riesling Renano prodotti in Italia, ma tutt’altro che scontato quando si va in Germania, nazione della quale abbiamo provato - tra gli altri - due Grosses Gewaechs ed un Erstes Gewaechs, equivalenti ad ipotetici Grand Cru vinificati secchi.


Le prime citazioni scritte sul vitigno, a metà del ‘300, si trovano in Rheingau e sempre in questa regione (ad ovest di Francoforte) nella prima metà del ‘700 avviene la svolta per la valorizzazione del riesling in Germania, con la totale riconversione varietale di Schloss Johannisberg ed in contemporanea il decreto del Principe di Fulda che obbliga i proprietari viticoli del Rheingau a piantare riesling. Da qui in poi quasi tutte le attenzioni si concentrano su questa varietà. 
E in Italia? In quegli anni il riesling non è ancora pervenuto, bisognerà attendere circa 150 anni. 
Nel frattempo il vitigno in Germania assume sempre più importanza, arrivando a vivere – dalla seconda metà dell’800 – una vera e propria epoca d’oro in cui i vini di Rheingau e Mosella si collocano nel gotha dei vini europei. Più o meno in quegli stessi anni, finalmente, il riesling arriva anche in Italia (nel sud Tirolo, in realtà, all’epoca non ancora “Italia”) e per alcuni decenni si tenta di comprendere come gestire l’oggetto misterioso arrivato da nord. I risultati non sembrano dei più incoraggianti, visti i commenti degli enologi dell’epoca, che paragonano i Riesling sud tirolesi ai Marsala, più che ai vini renani. 
Poi arrivano in rapida successione la fillossera e le Guerre Mondiali. Dopo, la ripartenza sarà difficile per tutti e l’epoca d’oro del Riesling tedesco termina, arrivando a toccare il fondo (di qualità e immagine) negli anni ’70-’80 del secolo scorso in particolare proprio nella regione del Rheingau. Grazie ad alcune aziende private finalmente la situazione inizia a cambiare e, nel giro di quindici-venti anni, torna florida. Oggi, dall’inizio degli anni ’00 il Riesling teutonico sta vivendo una seconda epoca d’oro.


Anche in Italia - Alto Adige e Piemonte - all’inizio degli anni ’90 del '900 qualcosa di importante inizia a muoversi. In particolare si assiste ai primi, veri tentativi di piantare vigneti progettati per produrre Riesling di elevata qualità (per 100 anni in Alto Adige, il “nostro” vitigno è presente solo come varietà da taglio). Per un approfondimento sul tema vi rimandiamo qui
L’Italia dunque vive un netto ritardo nella valorizzazione del riesling, che però - pur non appartenendo del tutto alla tradizione del Bel Paese - continua ad affascinare i viticoltori per la grande sfida che esso rappresenta. 
Prima di raccontare i Riesling degustati, un doveroso, seppur fugace, cenno ad una bottiglia del padrone di casa Stefano Pizzamiglio, la Malvasia Sorriso di Cielo 2009, degustata in chiusura di serata, ennesima conferma di quanto questo vitigno solo con gli anni riesca ad esprimere davvero tutte le proprie potenzialità. Ne riparleremo.
Come sempre quando si parla di Riesling questo post viene pubblicato in contemporanea su questo blog e su www.rieslingarten.blogspot.it.
Buona lettura.


BATTERIA N.1: ITALIA

VAL VENOSTA UNTERORTL 2017 – CASTEL JUVAL
Una delle aziende italiane di riferimento quando si parla di Riesling (sono ben quattro le etichette rieslingose prodotte, tutte di alto livello), ma anche una delle prime in Alto Adige e in Val Venosta – all’inizio degli scorsi anni ’90 – a credere nelle potenzialità del vitigno. 
Il vino più giovane, ed anche il più contratto, tra i sette degustati, ma tra gli italiani è probabilmente quello con le maggiori potenzialità. Al naso è ampio: subito agrumato, si allarga verso note di mela verde, fiori di sambuco e pesca gialla, in un contesto lievemente balsamico con rimandi rocciosi. Ha palato strutturato ma elegante, diritto e cristallino, con una propulsione gustosa, salata e fresca.

TERRE LARIANE SOLESTA 2015 – LA COSTA
Dal territorio che non ti aspetti, Brianza lecchese, Val Curone, a due passi da Monza e Milano, un progetto affascinante e visionario voluto dalla famiglia Crippa, che oltre ad un buon Riesling realizza anche un Pinot Nero sorprendente. 
Da un’annata calda e ricca, un vino che si esprime in toni vanigliati combinati con sensazioni di idrocarburi, gesso, selce, agrumi maturi, miele millefiori ed erbe aromatiche. In bocca si sviluppa pieno e con buona articolazione, animato da una forza salina che allunga la persistenza e torna in un finale elegante e ben risolto.

VALLE ISARCO KAITON 2012 – KUENHOF
Altra azienda di culto del Riesling prodotto in Italia, pioniera nella zona di Bressanone e nella Valle Isarco tutta, apprezzata dagli appassionati per l’etichetta Kaiton, tra i più longevi esempi “nostrani” di Riesling. 
Idrocarburo evidente (il vino più idrocarburico della serata) completato da scie speziate (pepe bianco) e di frutta matura (ananas). Il palato attacca largo, ma è saldo e sapido. Comunque appagante, mostra un'incedere più compassato del solito; incide con buona progressione salina anche se senza il consueto, tonico allungo a cui il Kaiton ci ha abituato.


BATTERIA N. 2: GERMANIA

NIEDERHAUSER HERMANNSHÖHLE 2012 – DÖNNHOFF
L’azienda che ha trasformato la Nahe da una Cenerentola in una tra le zone più intriganti e apprezzate della Germania viticola. Dopo Donnhoff, nulla è stato più come prima, soprattutto a partire dalla fine degli anni ’90-inizio anni ’00. L’Hermannshohle è il più importante vigneto della regione, in grado di generare alcuni tra i più grandi bianchi europei.
Appena stappato sprigiona note di lychee quasi da gewurztraminer, ma l’ossigenazione fa emergere altre sfaccettature e nel complesso, rispetto ad un assaggio risalente a due anni fa, la dolcezza di frutto ha fatto un passo indietro per cedere spazio ad un più austero lato minerale, gessoso e sassoso, completato da una sfumatura quasi balsamica che sfiora la canfora e da rimandi agrumati e tropicali. Palato ricco e potente, ma anche articolato: molto saporito, ravvivato da una acidità viva e armonica, chiude con un finale lungo e profondo.

FORSTER UNGEHEUER 2010 – MOSBACHER
Da uno dei “Grand Cru” di Forst, nel Pfalz, paesino con una concentrazione impressionanti di grandi vigne. L’Ungeheuer è il sito in cui i coniugi Mosbacher esprimono probabilmente il meglio della loro produzione, contrassegnata da vini precisi e territoriali.
Bottiglia che vive di contrasti e di tratti quasi schizofrenici, nel senso che il naso sprigiona principalmente toni caldi (frutti giallo-arancioni maturi, dall’albicocca secca all’ananas) con una appena accennata sensazione idrocarburica sullo sfondo, ma in bocca – dopo un attacco pieno e avvolgente – libera un’acidità sferzante quasi violenta, rinforzata da sensazioni di lime, che deve ancora integrarsi al meglio. Nervoso e stimolante, rappresenta al meglio gli estremi della vendemmia 2010.

HOCHHEIMER KIRCHENSTÜCK 2005 – KÜNSTLER
Un classico del Rheingau, Kunstler, che nelle vigne situate accanto alla chiesa di Hochheim, in una zona relativamente calda, realizza vini di immediata espressività ma che possono durare (e migliorare) nel tempo.
Impatto olfattivo “caldo”, su toni di miele di castagno e persino accenni di dattero e fico secco, poi chinotto candito e lieve liquirizia, per virare infine su toni di pasticceria e pietra focaia. Bocca glicerinosa e potente, ma compatta e salina (più che acida) e con finale ben risolto. Bottiglia più rassicurante della precedente, anch'essa fedele traduzione del territorio e dell’annata.


VINO A SORPRESA...


RUDESHEIMER BERG ROSENECK KABINETT 1986 – BREUER
La famiglia Breuer è un pezzo di storia del Riesling trocken tedesco e Bernhard – papà di Theresa, attuale proprietaria - in particolare è stato tra i promotori di Charta, pionieristica associazione nata negli anni ’80 che ha dato il la alla rinascita dei Riesling “secchi” tedeschi.
Una bottiglia che compirà presto 33 anni. Bel colore, tanto per cominciare, appena dorato con riflessi vivi e luminosi. Naso giustamente evoluto, che dalle lievi sensazioni fungine avvertite nei primi secondi post stappatura, si sposta presto su sensazioni di agrumi maturi/canditi (bergamotto), poi croccantino, confettura di rabarbaro ed infine lievi note balsamiche. Il palato sfoggia grande equilibrio: esile e agile, oggi si muove con movenze leggiadre grazie ad una acidità e ad un ormai appena avvertibile residuo zuccherino perfettamente integrati nella struttura. Chiude salino e, ancora, con cenni agrumati. Complesso e di disarmante bevibilità. Solo i grandi ci riescono.