lunedì 30 marzo 2020

VALTELLINA SUPERIORE GRUMELLO 2015 - ALBERTO MARSETTI

Dopo un Carema è la volta di un altro Nebbiolo nordico, stavolta lato Valtellina. 
Alberto Marsetti (in azienda dal 1986, quando era appena sedicenne) porta avanti una tradizione famigliare iniziata con il nonno e oggi proseguita insieme al nipote Stefano, sotto la supervisione del papà, Andrea. 

Le foto del vigneto e della cantina sono prese dal sito internet aziendale

Nove ettari prevalentemente in comune di Sondrio, alle porte della città, compresi quattro ettari nel cru Le Prudenze (vinificato a parte per una specifica etichetta di Valtellina Superiore) e in parte a Berbenno e Chiuro. Solo quattro le etichette prodotte, tutte a base nebbiolo (che qui viene chiamato chiavennasca), che fruttano ogni anno circa 50.000 bottiglie prodotte nella caratteristica cantina posta tra i vicoli del centro storico di Sondrio. Oggi vi parleremo del Grumello aziendale, le cui uve provengono dalla sottozona che si sviluppa a nord est di Sondrio su 78 ettari totali e prende nome dall’omonimo castello che dal ‘200 domina la valle. 


Valtellina Superiore Grumello 2015 – Alberto Marsetti 
Dopo la raccolta effettuata negli ultimi dieci giorni di ottobre, il mosto fermenta a cappello sommerso in botti di legno da 25-33 Hl (con tre rimontaggi giornalieri) a temperatura controllata. Segue macerazione di circa dieci giorni e affinamento per due anni in botti grandi da 12, 25 e 33 Hl, cui seguono sei-sette mesi di maturazione in vetro. 9.000 le bottiglie prodotte in questa annata.
Bello il colore rubino con unghia granato-aranciata. Il naso apre su note intense di confettura di fragole e di sottobosco-terra, con sfumature di vaniglia e radice di liquirizia. 
Bocca fresca e pimpante, ravvivata da note appena pepate, diretta, con acidità viva e tannini maturi che asciugano piacevolmente il finale. Un peso medio reattivo e quasi ruvido, nervoso e molto appagante a tavola. 
Lo stato evolutivo attuale sembra dirci che, pur in una fase di buona apertura olfattiva, potremmo aspettare ancora almeno un paio d’anni per iniziare a godere dell’intero spettro espressivo gustativo.

sabato 28 marzo 2020

PRIMITIVO MONDO NUOVO 2015 - MORELLA

Stavolta ci spostiamo in una delle zone d’elezione del primitivo, a Manduria (provincia di Taranto), dove Gaetano Morella e sua moglie, Lisa Gilbee, sono tra gli interpreti di punta del territorio. 
Lisa, enologa australiana, e il marito Gaetano, agronomo, dopo essersi conosciuti nel 2000 fondano l’azienda nel 2001, spinti dalla comune passione per il mestiere di vignaiolo e dall’amore per queste terre. Morella fin da subito ha messo al centro del suo progetto i vigneti e le diverse specificità del territorio, con l’obiettivo di amplificare il più possibile il carattere dei vari cru. Negli anni Lisa e Gaetano hanno acquistato vecchie parcelle vitate probabilmente destinate all’abbandono, di fatto contribuendo a tenere in vita le storiche tradizioni viticole locali. 

Foto prese dalla pagina Facebook aziendale

Oggi nei venti ettari a disposizione producono ogni anno circa 30.000 bottiglie frutto di un approccio in vigna ecosostenibile (l’azienda lavora in Biodinamica certificata). Il risultato sono vini a base primitivo che esprimono la polpa e l’esuberanza tipiche del vitigno, ma su un versante di freschezza, dinamismo ed eleganza. 


Primitivo Mondo Nuovo 2015 - Morella 
Le uve provengono da una vecchia vigna di 1.5 ettari piantata ad alberello 70 anni fa e ubicata in contrada Mondonuovo. Nel 2015 sono state prodotte circa 2.000 bottiglie. 
Il suolo di questa contrada, a differenza degli altri cru aziendali (che insistono su terra rossa), è più sciolto e profondo, quasi di colore bianco per l’elevata presenza di calcare. 
In cantina la pressatura avviene per il 10% a grappolo intero, mentre i restanti grappoli vengono diraspati in tini aperti e pressati con un torchio idraulico. Il mosto fermenta a contatto con le bucce per circa due settimane – con quattro follature giornaliere – e in seguito viene travasato in tonneaux da 500 lt (con una piccola percentuale di legno nuovo) dove il vino affina per quattordici mesi. Segue assemblaggio in vasca di cemento e imbottigliamento a caduta senza filtrazione. Il vino affina ulteriori dodici mesi in bottiglia prima di essere commercializzato 
Nel bicchiere si presenta con un colore invitante: rubino vivo a acceso. Apre su sentori di frutti rossi e violetta, molto lampone, anche ciliegia, poi ginepro e toni speziati balsamici. Rispetto ai primi assaggi di fine 2018 e di inizio 2019 ha fatto un passo indietro la nota vanigliata, che ha dunque permesso di emergere al frutto e alle spezie. 
Al palato è ricco, ma senza eccessi alcolici, molto reattivo e dinamico, innervato da tannini decisi e maturi, seppur non asciuganti, e da un’acidità pimpante. Tonico e contrastato, possiede un lato persino verticale pur restando molto succoso. 
Una traduzione rispettosa del territorio che potrà dare ancora tante soddisfazioni negli anni a venire.

giovedì 26 marzo 2020

GAISBÖHL RIESLING 2011 – DR. BÜRKLIN-WOLF

È la seconda volta nel giro di pochi giorni che parliamo di Riesling (qui la prima). E sempre del Pfalz, o Palatinato, territorio del meridione viticolo tedesco capace di originare Riesling potenti e salati. Abbiamo poca fantasia, è vero. Ma è anche vero che questa è una tra le regioni più interessanti e dinamiche in Germania. 
Una delle aziende di riferimento di tutta l’area (e del Mittelhaardt in particolare) è Dr. Bürklin-Wolf, nome storico - la data di nascita ci riporta addirittura alla fine del ‘500 - con sede a Wachenheim, ma con 85 ettari vitati sparsi in quattro comuni e gestiti in Biodinamica da ormai quindici anni, specializzato nella produzione di vini trocken (secchi). 


I vini, soprattutto nelle ultime vendemmie, sono stimolanti e mai banali; seguono un canone proprio che tende a lasciare esprimere in scioltezza il carattere di ogni annata, senza forzature ma sempre con grandissime attenzioni in vigna e in cantina. 
Il vigneto Gaisböhl, un monopole di Bürklin-Wolf, si estende in tutto per 8 ettari nel comune di Ruppertsberg, ma solo 5.2 ettari sono considerati alla stregua di un Grand Cru già dai tempi della classificazione del Regno di Baviera risalente al 1828. Gaisböhl si estende ai piedi dei monti Haardt (la prosecuzione settentrionale dei Vosgi alsaziani) su suoli argillosi con presenza di ghiaia e arenaria, un mix che origina vini con strutture potenti (a volte più muscolosi che eleganti), acidità decise e ottimo potenziale di invecchiamento. 


Le uve dell’annata 2011, nel complesso calda, sono state raccolte manualmente il 29 e 30 settembre. Fermentazione a temperatura controllata con lieviti indigeni seguita da affinamento in botti grandi da 2.400 litri (chiamate doppelstuck). 
Ultima nota non da poco. Questa è stata l’ultima vendemmia dello storico kellermeister aziendale Fritz Knorr, scomparso poco prima della vendemmia 2012 e sostituito dal piacentino Nicola Libelli (all'epoca vice di Knorr). 


Gaisböhl Riesling 2011 – Dr. Bürklin-Wolf 
Il naso mostra un buon livello di apertura evolutiva con toni di pompelmo maturo, ananas, confettura di pera, erbe aromatiche e idrocarburi, completati da scie minerali di sassi e gesso. 
Il palato – di viva impronta sapida – svela il carattere argilloso del Cru e la generosità dell’annata. Se il colore intenso, il naso e l’attacco di bocca esprimono concentrazione e grassezza, lo sviluppo è saldo e tonico e ravviva l’insieme, con un finale allungato dall’acidità elegante e precisa. 
Robusto, ampio e vigoroso, non sarà forse un campione di finezza, ma va dritto per la sua strada trovando bell’equilibrio tra acidità (matura) e zuccheri (contenuti in circa 6.5 gr/l).

martedì 24 marzo 2020

MACCHIONA 1995 - LA STOPPA

La Macchiona de La Stoppa è sicuramente tra le poche bottiglie iconiche dei Colli Piacentini. Viene prodotta dal 1973 (anno in cui la famiglia Pantaleoni ha acquistato l’azienda, un tempo di proprietà dell’avvocato genovese Ageno) in comune di Rivergaro al confine con Vigolzone, nel cuore delle Terre Rosse Antiche a 200-250 metri slm e ancora oggi, sotto la guida di Elena Pantaleoni e Giulio Armani, è tra i portabandiera dell’azienda. 


Il vino prende nome da una casa colonica posta in mezzo alle vigne, ma in genere le uve provengono sempre da almeno un paio di vigneti. In generale il concetto di Cru alla Stoppa è da intendersi più in senso bordolese che borgognone, quindi ogni anno vengono scelte da diverse vigne presenti nei trenta ettari aziendali i grappoli più adatti a produrre le “riserve”. I suoli sono simili in tutta l’area, argilloso-limosi, poveri, rossastri per la presenza di ossido di ferro e poco o per niente calcarei, quindi a fare la differenza sono spesso le porzioni dei filari (parte alta o bassa dei versanti, a maggiore o minore presenza di argilla, per esempio). 


La Macchiona non è mai stato un vino DOC, ma di fatto è una specie di Gutturnio sotto mentite spoglie. È stato tra i primissimi esempi di ciò che era ed è possibile fare in quest’area con le uve barbera e croatina. Vini profondi e molto longevi, austeri e da aspettare a lungo. Nulla di più diverso dallo stereotipo che vedeva (e vede) i colli piacentini come zona esclusivamente da vini frizzanti. 


Macchiona 1995 – La Stoppa 
Miscela paritaria di barbera e croatina che, dopo una lunga macerazione sulle bucce, affina in botti grandi. 
A distanza di 25 anni dalla vendemmia si presenta con un colore granato vivo e luminoso dai riflessi aranciati appena accennati. L’impatto olfattivo è registrato su un carattere di articolata complessità terziaria: note di sottobosco e tabacco si fondono con tratti ematici che, con l’ossigenazione, lasciano spazio a toni di prugna secca, grafite, spezie, arancia, amarena e caffè. 
Il palato è austero, di una bellezza verticale quasi aspra come quella di certi Boca degli anni ’90, senza il medesimo senso di rarefazione nordica, con polpa più ricca e un tipo di austerità più calda. Il volume non manca, ma la struttura si sviluppa con verace tonicità acido-tannica. Finale slanciato e nervoso, per una bottiglia che ha ancora vita davanti a sé.

domenica 22 marzo 2020

ECHEZEAUX GRAND CRU 2007 - DOMAINE FOREY

Unico, piccolo strappo alla regola di scrivere delle bottiglie stappate a casa in questo periodo. Questa non è una bottiglia assaggiata nei giorni di isolamento, bensì poco prima della serrata generale. Una delle ultime condivisioni enoiche insieme ad amici, alla Trattoria San Giovanni di Piacenza, fatte prima di barricarsi in casa. 
Domaine Forey Père et Fils è una realtà fondata nel 1840 a Vosne-Romanée (Côte-d’Or, Borgogna) dal bisnonno di Régis Forey, in azienda dal 1987 e alla guida delle operazioni dalla vendemmia 1989. Dopo varie acquisizioni effettuate nel corso degli anni, vedi alla voce Echezeaux e Les Gaudichots (quest’ultimo fino al 1936 faceva parte de La Tâche), l’estensione vitata attuale è di circa 10 ettari tra proprietà e affitto. 


Nel Grand Cru Echezeaux possiede in tutto 0.38 ettari (sui circa 36 del Cru, quindi più o meno l’1%) all’interno delle parcelle argillose Les Treux e Clos Saint-Denis, non tra le più pregiate del Cru, nella sezione a sud est, delimitate a nord dal Grands Echezeaux e da Les Suchots (1er Cru di Vosne-Romanée) a sud. Un terzo delle vigne è del 1949, mentre gli altri due terzi sono stati piantati nel 1974 e nel 2004. 

Elaborazione (si fa per dire) da www.bourgogne-wines.com

Echezeaux Grand Cru 2007 – Domaine Forey 
Dopo raccolta manuale e cernita su due appositi tavoli (il secondo dei quali acquistato proprio poco prima della vendemmia 2007) il vino entra in cantina senza l’ausilio di pompe (altra novità della vendemmia in questione) e svolge tre giorni di macerazione a freddo seguiti da fermentazione di circa 25 giorni a contatto con le bucce, malolattica in barriques (la % di legno nuovo varia dal 20% al 50% in base all’annata) e affinamento in barriques di circa 18 mesi. Imbottigliamento senza chiarifica, né filtrazione. 
Colore concentrato che anticipa un naso di frutta matura, di ciliegia e lampone, che con l’ossigeno vira sulle spezie dolci e fa trasparire toni di asfalto bagnato. Il carattere aromatico è generoso e ampio, ma tutto sommato fine. 
La struttura gustativa è ricca e carnosa, solida e compatta. Attacca avvolgente con una lieve sensazione di grassezza, ma incede con precisione sorretta da tannini vellutati e sapidità che ravviva. Ben piantato, riesce comunque a controllare la potenza e a combinare i muscoli con una certa eleganza, regalando un finale di buona profondità.
Frutto di un’annata dalla gestione complicata, è ben fatto e piacevole, anche appagante, tuttavia non sembra avere il guizzo del fuoriclasse che ci si aspetterebbe a tali livelli di gerarchia borgognona.

venerdì 20 marzo 2020

CAREMA 2015 - CANTINA PRODUTTORI NEBBIOLO DI CAREMA

Carema è un paesino del Canavese con meno di 800 anime posizionato in una conca rivolta a mezzogiorno, nella parte nord occidentale del Piemonte in provincia di Torino. L’ultimo lembo di terra piemontese prima di arrivare, di lì a un paio di chilometri, al confine con la Valle d’Aosta. 
Alle spalle del centro abitato, sulla montagna sovrastante si stagliano vigne mozzafiato che a macchia di leopardo si espandono sul pendio tra boschi e rocce a un’altitudine che varia dai 300 ai 600 metri di quota. I terreni sono morenici di origine glaciale e corrispondono ai grandiosi massicci cristallini del Monte Rosa, del Monte Bianco e del Gran Paradiso portati a valle durante il periodo quaternario dal ghiacciaio Balteo, circa un milione di anni fa. 


E’ qui che viene coltivato un biotipo di Nebbiolo chiamato picotendro (picotener), diverso da quelli delle Langhe e del Roero. Il comprensorio caremese è scandito da gradoni a terrazze scavati nella roccia, eredità ricevuta dagli antichi abitanti della zona che hanno strappato più suolo possibile alla montagna per poter sviluppare la viticoltura. Su ogni terrazza vi è una gran quantità di piccoli pilastri, detti “pilun”, che hanno la funzione di sostenere le pergole dei vigneti chiamate “topie”. 
Le lavorazioni in vigna sono esclusivamente manuali e comportano un dispendio di manodopera circa quattro volte superiore al lavoro di una vigna comune. Uno dei casi in cui l’aggettivo “eroico” ha veramente senso. I vini mostrano come tratti dominanti una gustosa freschezza giocata sui toni della grazia e dell’eleganza. E possono essere molto longevi.


La DOC è nata nel 1967 e oggi copre solo 20 ettari, sopravvissuti ai circa 120 dei primi del ‘900; le vigne sono state custodite negli ultimi anni per lo più da viticoltori anziani e da due realtà che si sono rivelate decisive per il mantenimento dell’area: la Cantina Sociale dei Produttori e la Cantina Ferrando, di recente affiancate da giovani vignaioli molto promettenti che stanno incrementando il numero dei custodi del territorio: Muraje, Monte Maletto, Chiussuma e Sorpasso. 
La Cantina dei Produttori Nebbiolo di Carema è stata fondata negli anni ’60 da un gruppo di dieci viticoltori, mentre oggi conta un numero di soci che si aggira attorno ai 110, tra cui un’ottantina di conferitori di uve. Il numero di bottiglie prodotte non è quello che ci si potrebbe aspettare da realtà cooperative di altri territori meno difficili: poco meno di 70.000 bottiglie annue, di cui quasi 60.000 tra Carema e Carema Riserva (le restanti ricadono nella confinante DOC Canavese). Buoni da subito, i Carema dei Produttori mostrano grande longevità come dimostrato dalle migliori annate dei decenni’70 e ’80 assaggiate un paio di anni fa. 


Carema Classico etichetta nera 2015 – Cantina dei Produttori Nebbiolo di Carema 
Il mosto fermenta in acciaio con lieviti selezionati e trascorre dodici giorni a contatto con le bucce; il vino viene poi trasferito in grandi botti di rovere dove sosta per almeno due anni. 
Rosso rubino con leggeri riflessi aranciati, il colore ha veste luminosa e trasparente. Il naso sfodera toni accattivanti di piccoli frutti rossi (lampone e fragoline di bosco) ai quali si aggiungono delicati cenni floreali di violetta e scie speziate, cui fanno eco lievi toni boisè. Il sorso, che non manca di morbidezza e sostanza, è tonico, slanciato ed elegante. Il volume e l’acidità si integrano magistralmente accompagnandosi a un tannino fine e misurato. Lo sviluppo gustativo ha un allungo fresco, succoso e profondo seguito da un finale molto saporito, quasi salato. Un piccolo capolavoro tutto improntato sulla finezza di tocco e sulla leggerezza del sorso.

martedì 17 marzo 2020

BERND PHILIPPI

Il progetto "viniconleali" è nato per raccontare e condividere fisicamente bottiglie. La prima cosa la possiamo ancora fare, la seconda no. Quindi da oggi io e Luca iniziamo a condividere virtualmente i nostri assaggi dai rispettivi isolamenti casalinghi (magari ci scapperanno un paio di assaggi fatti nei giorni appena precedenti), per tenerci allenati e continuare a viaggiare attraverso le bottiglie.
Con la prima bottiglia si vola nel Pfalz, in Germania.

Dietro l’apparentemente misterioso progetto denominato “Saumagen Riesling” si cela il mitico Bernd Philippi, colui che a lungo è stato proprietario del marchio Koehler-Ruprecht (sede a Kallstadt, nel Pfalz) e che, anche grazie alle doti del cru Saumagen, ha prodotto grandi auslese trocken con uno stile d’altri tempi. Qui un approfondimento.


Una volta venduta l’azienda nel 2009 non è stato con le mani in mano e, dopo aver collaborato fino al 2012 con Koehler-Ruprecht, è stato coinvolto come co-proprietario e consulente per aziende portoghesi e sudafricane, ma soprattutto ha acquistato un piccolo appezzamento di viti vecchie nella sua vigna preferita di Kallstadt, naturalmente il Saumagen. Qui dal 2013 produce una vera rarità: 700-800 bottiglie all’anno di un’unica etichetta, della quale sono uscite al momento solo tre annate: le prime due (2013 e 2014) come spätlese trocken, mentre l’ultima (2015) come auslese trocken. Di recente ha ampliato la proprietà vitata a 0.5 ettari e continua ad appoggiarsi a una cantina della zona per le vinificazioni. 

Sezione del Kallstadter Saumagen

Il vino di Philippi non ha una vera e propria distribuzione e viene venduto senza rispettare tempistiche canoniche (il 2014 e il 2015 per esempio sono stati rilasciati a breve distanza l’uno dall’altro nel 2019). Le bottiglie sono importate in Italia dal “benefattore” Francesco Agostini (per contatti: onewinelover@gmail.com). 


Kallstadter Saumagen spätlese trocken 2013 - Saumagen Riesling (Bernd Philippi) 
Fermentazione con lieviti indigeni e affinamento sulle fecce in botte grande. 
Il naso, complesso, esordisce su toni di pietra focaia e frutti giallo-arancioni (limone candito, melone), liberando poi note di pera, spezie (zenzero), burro d'arachidi e un carattere leggermente iodato. Il palato ha un lato grasso ma è percorso da una vena piccante; mostra volumi ampi e generosi contrastati dal lato sapido e da un’acidità matura. L’estrazione è importante, ma senza barocchismi, l’insieme è tonico e potente e conduce a un finale lungo, saldo e compatto dove emergono scie di pompelmo e di burro salato. 
Sta iniziando a entrare nella sua (lunga) fase di apice espressivo, quindi bevetelo adesso o dimenticatelo in cantina.

Nota: il post viene pubblicato in contemporanea qui e su www.rieslingarten.blogspot.it

giovedì 5 marzo 2020

OLD SCHOOL MOSEL

In attesa di riprendere le attività, segnaliamo un post del blog amico www.rieslingarten.blogspot.it dedicato a diverse declinazioni dell'Erdener Pralat di Christoffel-Berres, mitica azienda della Mosella che ha cessato nel 1997.
Qui il link. Buona lettura.