Stavolta, grazie al nuovo incontro del ciclo realizzato insieme a Slow Food Piacenza, presso l’agriturismo Il Negrese di Ziano Piacentino, vi portiamo nella regione francese dello Jura. Nota soprattutto per i vini bianchi in stile ossidativo (vedi, ad esempio, alla voce Vin Jaune e Chateau Chalon, ma non solo) prodotti dal vitigno savagnin, l’area rurale della Francia centro orientale regala anche rossi intriganti e veraci dai vitigni locali poulsard e trousseau e dal pinot nero (quest’ultimo un retaggio “culturale” derivante dalla vicinanza con la Borgogna), sui quali è stata centrata la degustazione.
Cinque vini più un fuori quota all’insegna dei colori pallidi – sia il trousseau che (soprattutto) il poulsard non vantano propriamente concentrazioni cromatiche intense, tutt’altro – e di impianti gustativi mai muscolari, pieni ma sempre nervosi (anche quando la polpa e l’alcol non mancano), sapidi e più o meno sottili, risultato di un connubio suolo-clima che vive di marne calcaree variegate e di un clima tendenzialmente fresco e abbastanza piovoso.
da www.jura-vins.com |
Côtes du Jura Poulsard 2016 – Philippe Butin
Philippe Butin continua la lunga tradizione viticola famigliare in quel di Lavigny, nella parte centro meridionale della regione, ed ha fondato il suo piccolo Domaine di 5.5 ettari ormai quasi quarant’anni fa.
L’unico Poulsard della giornata è come un acquerello. Vive di toni floreali ed ematici e sussurra aromi di confettura di fragola più una lieve sfumatura di pepe bianco. L’ingresso sembra compassato, non brilla per acidità, ma viene subito ravvivato da una scia sapida vivace che lo percorre fino alla fine dandogli persistenza. Un vino semplice, intrigante, per la tavola quotidiana. 2000 bottiglie prodotte.
Côtes du Jura En Barberon Pinot Noir 2016 – Domaine Tissot
Tra i Domaine storici, fondato nel 1962 da Andrè e Mireille Tissot, nel corso degli anni si è convertito alla Biodinamica (certificazione nel 2004) con l’arrivo del figlio Stephane, in azienda dagli anni ’90 e oggi tra i portabandiera della regione, anche grazie a una produzione di qualità realizzata in quantità significative (oltre 150.000 bottiglie annue).
Dalla vigna Camus, 1.8 ettari, Stephane ottiene circa 3000 bottiglie di questa etichetta di riferimento tra i Pinot Noir della regione, che viene vinificato a grappolo intero con macerazione di un mese senza solforosa e affinamento di un anno in barriques (15% nuove). Il vino si apre su aromi intensi di frutto molto speziato (pepe verde) e quasi balsamico per articolarsi in un palato sottile e nervoso molto vivo, persino spigoloso, ma profondo che richiederà ancora un paio di anni di assestamento in bottiglia. Di grande vitalità, oggi è un Pinot Noir per chi ama la freschezza senza mezzi termini, ma saprà dare ancora più soddisfazioni negli anni a venire.
Arbois Les Bérangères Trousseau 2012 – Jacques Puffeney
Un decano della denominazione, Jacques Puffeney, non a caso soprannominato “Il Papa di Arbois” dai suoi colleghi vigneron, che nel 2014 dopo oltre cinquanta vendemmie ha ceduto l’azienda, o meglio, buona parte dei suoi 7.5 ettari vitati (se ne è tenuto una piccola parte).
Les Bérangères è il primo trousseau in degustazione e subito, colore a parte, spiccano le differenze con i vini precedenti. Aumentano polpa e volume, la trama dei tannini si fa più consistente.
L’approccio olfattivo chiede qualche minuto prima di aprirsi, quando lo fa sprigiona toni floreali e di frutti rossi, sottobosco, forse non di grande intensità (veniamo da un vino, En Barberon, dal naso esplosivo al confronto) ma di discreta complessità. Il palato è ampio e dinamico, giocato soprattutto su uno slancio tannico un po’ ruspante, ma solido, compatto e capace di dare dinamismo, e una chiusura profonda.
Arbois Cuvée des Géologues 191 Trousseau 2014 – Lucien Aviet
Da “Il Papa di Arbois” passiamo niente popò di meno che a “Bacchus”. Questo infatti è il nome con cui tutti a Montigny-Les-Arsures (la patria del trousseau) e non solo conoscono Lucien Aviet, da qualche anno ufficialmente in pensione, ma in realtà ancora dietro le quinte dell’azienda ormai gestita dal figlio Vincent. Cinque ettari da cui provengono alcune tra le più affascinanti bottiglie prodotte con questo vitigno.
Il “191” prende nome dai giorni di macerazione trascorsi sulle bucce ed esordisce con toni fini di confettura di fragola e di viola, più qualche scia speziata. Un approccio in punta di fioretto. Ma è il palato a colpire per freschezza e vivacità. Diretto, lungo e quasi affilato, è supportato da tannini maturi ed eleganti. Ancora giovane e leggermente compresso, è un grande vino per il quale non sembra difficile prospettare un luminoso avvenire e che piacerà soprattutto a chi ama un certo tipo di eleganza nordica e un po’ austera.
Arbois Cuvée des Géologues Rosiére Trousseau 2009 – Lucien Aviet
Ancora un vino della famiglia Aviet. Una bottiglia parente della precedente, ma con minor contatto sulle bucce e il cui nome deriva dalla parcella vitata di provenienza. Oltre a ciò, i cinque anni di vita in più lo spingono su un versante olfattivo più aperto, maturo e intenso, con aromi che dal fungo porcino e dalle foglie morte si muovono verso l’arancia matura e i toni ferrosi. La struttura gustativa è tesa e fresca, vitale, dimostrando come l’apice espressivo del vino potrà durare ancora nel tempo.
Château Chalon 2005 – Berthet-Bondet
Fondata a metà degli anni ’80 dalla coppia di agronomi Chantal e Jean Berthet-Bondet l’azienda, oggi certificata Biologica e gestita dalla figlia Hélène, conta su una quindicina di ettari vitati, 4.5 dei quali nell’AOC Château Chalon.
Dopo la fermentazione in acciaio inox il vino come da tradizione va incontro a un lungo affinamento “sous voile” di lieviti in botti scolme da 228 litri per ben sei anni.
Impatto olfattivo di grande forza, trainato da sensazioni di mallo di noce e di frutta secca, tabacco, erbe secche con sfumature fumé e iodate. Struttura vigorosa e ricca, grassa ma ravvivata da una verve molto sapida e da una lunghissima persistenza. Un nettare arcaico di nobile potenza.