Lo scorso 12 ottobre è iniziato un percorso di degustazione dedicato a 6 territori che realizzeremo insieme a Slow Food Piacenza in sedi diverse, tra ottobre 2018 ed aprile 2019. Prima tappa dedicata alla Borgogna Bianca.
Borgogna, certo, “bianca”, e va bene, ma di per sé queste informazioni dicono e non dicono. Non esiste IL vino di Borgogna, ma I vini di Borgogna. Dunque alla Taverna del Gusto di Piacenza abbiamo approfondito 5 terroir borgognoni specifici, 4 della Côte de Beaune ed uno del Maçonnais. Se proprio dobbiamo provare ad identificare un filo comune nei vini, a livello organolettico, diremmo di quella speciale, unica sensazione salina che ha percorso tutti i bicchieri dal primo all'ultimo, anche e forse soprattutto nei vini a temperatura ambiente, un'ora dopo essere stati serviti.
Le mappe sono nostre elaborazioni dai siti: www.vins.bourgogne.fr e www.cotedorpdx.com.
Le mappe sono nostre elaborazioni dai siti: www.vins.bourgogne.fr e www.cotedorpdx.com.
Il vino inaugurale – come i 2
seguenti – viene dalla zona sud della Côte de Beaune ed è il Saint-Romain 2014 di
Pascal Clement, scoperto proprio grazie ad Andrea Libè della Taverna del Gusto, piccolo nègociant di Savigny-les-Beaune che, dopo
esperienze prestigiose in zona (anche da Coche-Dury), nel 2012 ha fondato la
propria azienda che vive sia di vigne di proprietà, sia di uve provenienti da
una quindicina di fidati conferitori. Spazia dall'AOC di casa,
Savigny-les-Beaune, ad altre piccole perle nascoste come Rully e St-Romain (AOC con poco
più di 100 ettari in produzione), a Mersault, non facendosi mancare un'etichetta
di Pinot Nero dal Grand Cru Corton-Renardes. Da un'annata “classica” che ha
esaltato i toni freschi e sprintosi, il suo St-Romain – dai suoli
argillo/calcarei di una parcella denominata En Poillange, ad oltre 300 m di
altitudine - fermenta in pièce 20% nuove, affina 11 mesi negli stessi
legni senza batonnages ed è stato imbottigliato nel mese di settembre
2015. Dopo 3 anni di bottiglia si presenta floreale e minerale (belle note di
selce) con rimandi alla radice di liquirizia, ha palato diritto e sviluppo
semplice e compatto, ma di una semplicità essenziale, esemplare e sciolta che
lo rende un vino sottile di grande bevibilità.
Ci si muove di pochi km con il
secondo vino, andando a lambire i territori del mitico Montrachet e dei suoi
satelliti, con il Saint-Aubin Les Cortons 1er Cru 2013 di Domaine Larue. I
fratelli Didier e Denis insieme ai figli sono validi interpreti del territorio
e propongono ben 7 etichette di St-Aubin. Les Cortons non è altro che la parte
bassa e più ripida dell'En Remilly, uno dei più emblematici 1er Cru di
St-Aubin, sulla stessa collina (ma versante opposto) del Montrachet. Les
Cortons fa parte di En Remilly, ma in etichetta è possibile rivendicarne il nome
grazie alla storicità del lieu-dit. Qui i suoli vedono la presenza di
argille calcaree rossicce tipiche della zona tra Chassagne, Puligny e St-Aubin.
Dopo fermentazione in pièce per il 25% nuove ed affinamento di 11 mesi
in legno, apre su un naso un po' meno puro del precedente, con frutto appena
più largo e note burrose; il palato sembra attaccare grasso e docile, ma cresce
nel calice con bella spinta acido-sapida e finale sicuro. Un Saint-Aubin forse
meno “roccioso” di ciò che ci saremmo aspettati, più ondivago, ma che regala un
sorso molto godibile.
Rispetto al precedente, con il
terzo vino ci spostiamo di villaggio, ma in realtà di sole poche centinaia di
metri. Immaginiamo di trovarci dentro Les Cortons e di risalire verso la
sommità di En Remilly, entrare nel Mont Rachet (nel bosco della collina, del Mont,
non del vigneto sottostante) e ridiscendere verso sud in direzione Chassagne.
Siamo tra i Grand Cru Montrachet e Criots-Batard Montrachet. Proprio attaccato
a quest'ultimo troviamo una vigna di 1.86 ettari chiamata Les Blanchots
Dessous, ufficialmente un “village”, ma storicamente considerata a
livello di un 1er Cru. Il Domaine Coffinet-Duvernay ne produce una delle due
uniche versioni reperibili sul mercato: questa piccola realtà lavora 7 ettari –
quasi tutti a Chassagne – e produce circa 30.000 bottiglie. È stata fondata nel
1989 da Laura Coffinet e dal marito Philippe Duvernay, che hanno ereditato dai
genitori di Laura il 50% dei vigneti dello storico Domaine Coffinet, nato nel
1860. Lo Chassagne-Montrachet Les Blanchots Dessous 2015, da un'annata calda e “generosa”, parte sfoderando toni leggermente
fumé, con rimandi alla frutta secca tostata: ci vorrà ancora qualche
anno perché il naso si distenda e si apra del tutto. Il palato ha grande
compattezza, volume, ma uno sviluppo articolato che porta ad un finale di notevole lunghezza. Un vino di razza che sprigiona l'elegante
potenza di Chassagne.
Arriva poi quello che più o meno è
l'intruso della serata, un Pouilly-Fuissé, zona più meridionale in cui si
coltiva solo chardonnay, il clima si fa più mediterraneo e la geologia più
complessa, con aree che vedono una presenza di granito assente a nord e che ci
ricorda come il Beaujolais sia a pochi km da qui. Vini che l'identikit canonico
vuole più caldi, ma pur sempre diritti e salati, almeno nei migliori esempi.
Una garanzia in questo senso viene dal produttore scelto, Domaine Ferret,
storica realtà al vertice della AOC e dal 2008 (quando nella famiglia
Ferret si è interrotta la linea ereditaria) acquistato dal négociant
Jadot. Prima dell'attuale gestione tecnica nelle mani di Audrey Braccini,
Jeanne Ferret prima e Colette poi avevano creato e perseguito una
classificazione interna dei vigneti aziendali che vedeva indicati come “Horse
Classe” i migliori siti. Da un “Horse Classe”, che sarà ufficialmente 1er Cru
dalla vendemmia 2019, proviene il vino degustato, il Pouilly-Fuissé Hors Classe
Tournant de Pouilly 2013 (due parcelle di poco meno di 1 ettaro complessivo
nella zona nota come Vers Pouilly - esposizione prevalente est, ma la parte alta
della costa gira verso nord est - con vigne in media sessantenni), che alza il
livello della maturità e della concentrazione. Dopo 9 mesi in legno 33% nuovo e
5 mesi in inox, pur in annata fresca, la mediterraneità di questo pezzo di Maçonnais
si esprime in pieno, con un naso che alterna toni di burro di arachidi e di
macedonia di frutta a sfumature più erbacee, ma soprattutto attraverso un
palato grasso che si articola con veemente spinta sapida ed un finale molto
saldo. Grande vino in cui la potente struttura non pregiudica la beva.
Infine, si va a nord,
quasi ai confini con la Côte de Nuits, tra Aloxe-Corton e
Pernand-Vergelesses con lo Charlemagne 2014 di Domaine de la Vougeraie, realtà
fondata nel 1999 dalla famiglia Boisset, che oggi gestisce ben 34 ettari di
proprietà tra Côte des Nuits e Côte de Beaune.
Ebbene sì, abbiamo scritto Charlemagne, non Corton-Charlemagne. Charlemagne è una denominazione con una storia unica che, al momento, viene rivendicata solo dalla Vougeraie (in passato anche Jadot e Chanson l'hanno utilizzata) e nel 1937 fu creata per dare un contentino a Pernand-Vergelesses, che perse la disputa con Alox-Corton su chi avrebbe potuto utilizzarla. 5 anni dopo le cose cambiarono ed anche a Pernand-Vergelesses fu data la possibilità di rivendicare la prestigiosa appellation Corton-Charlemagne, ma nessuno ha di fatto mai eliminato l'appellation Charlemagne. Quest'ultima può essere prodotta in 5 sous-climat, tra Alox e Pernand, nei quali si può produrre anche Corton-Charlemagne (le due AOC dunque in parte si sovrappongono e chi possiede parcelle in questi 5 sous-climat può scegliere in quale delle due appellazioni Grand Cru ricadere), che a sua volta invece può provenire da ben 9 sous-climat di 3 comuni: i due già noti più Ladoix-Serrigny. Possedendo 0.49 ettari suddivisi in 2 parcelle nei sous-climat noti come Le Charlemagne (vigne degli anni '50 e '90) e En Charlemagne (vigne degli anni '50, tardiva esposizione a sud ovest) La Vougeraie ha potuto scegliere, optando per la più rara Charlemagne.
Proveniente da Agricoltura Biodinamica (praticata, ma non certificata), dopo 16 mesi in legno per il 40% nuovo e circa 18 mesi di bottiglia, il vino si presenta come quello più indietro nello sviluppo e quello che ha necessitato di più tempo per aprirsi, guadagnando complessità, piacevolezza ed un'articolazione più lineare dalla sosta nel bicchiere che via via andava scaldandosi. Un grandissimo vino con apertura su toni tostati che ricordano il croccante alle nocciole, poi la vaniglia ed una mineralità ben fusa che si palesa in pregevoli toni affumicati; lo sviluppo è ampio e voluminoso, anche se comprensibilmente ancora compresso, con eccellente tenuta sul fronte dell'acidità. Finale con chiusura di grande verve e lunghissima persistenza.
Ebbene sì, abbiamo scritto Charlemagne, non Corton-Charlemagne. Charlemagne è una denominazione con una storia unica che, al momento, viene rivendicata solo dalla Vougeraie (in passato anche Jadot e Chanson l'hanno utilizzata) e nel 1937 fu creata per dare un contentino a Pernand-Vergelesses, che perse la disputa con Alox-Corton su chi avrebbe potuto utilizzarla. 5 anni dopo le cose cambiarono ed anche a Pernand-Vergelesses fu data la possibilità di rivendicare la prestigiosa appellation Corton-Charlemagne, ma nessuno ha di fatto mai eliminato l'appellation Charlemagne. Quest'ultima può essere prodotta in 5 sous-climat, tra Alox e Pernand, nei quali si può produrre anche Corton-Charlemagne (le due AOC dunque in parte si sovrappongono e chi possiede parcelle in questi 5 sous-climat può scegliere in quale delle due appellazioni Grand Cru ricadere), che a sua volta invece può provenire da ben 9 sous-climat di 3 comuni: i due già noti più Ladoix-Serrigny. Possedendo 0.49 ettari suddivisi in 2 parcelle nei sous-climat noti come Le Charlemagne (vigne degli anni '50 e '90) e En Charlemagne (vigne degli anni '50, tardiva esposizione a sud ovest) La Vougeraie ha potuto scegliere, optando per la più rara Charlemagne.
Proveniente da Agricoltura Biodinamica (praticata, ma non certificata), dopo 16 mesi in legno per il 40% nuovo e circa 18 mesi di bottiglia, il vino si presenta come quello più indietro nello sviluppo e quello che ha necessitato di più tempo per aprirsi, guadagnando complessità, piacevolezza ed un'articolazione più lineare dalla sosta nel bicchiere che via via andava scaldandosi. Un grandissimo vino con apertura su toni tostati che ricordano il croccante alle nocciole, poi la vaniglia ed una mineralità ben fusa che si palesa in pregevoli toni affumicati; lo sviluppo è ampio e voluminoso, anche se comprensibilmente ancora compresso, con eccellente tenuta sul fronte dell'acidità. Finale con chiusura di grande verve e lunghissima persistenza.
👏👏👏👏👏👏👏👏
RispondiEliminaGrazie mille! 😉
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